Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani (Antonio Gramsci)

domenica 26 aprile 2015

La verità sulla brigata ebraica

Sul treno, verso la manifestazione del 25 aprile.
Due signore, due file più avanti, ci stanno andando anche loro, parlano della Brigata Ebraica, in relazione alle polemiche anticipate dalla stampa, e dal tenore del loro colloquio, comprendo che sono convinte che sia stata una brigata partigiana formata da ebrei.

Non è così, era un unità militare del corpo di spedizione britannico e venne istituito nel settembre del 1944 dopo una lunga trattativa fra i rappresentanti del movimento sionista, l’Agenzia sionista e il governo britannico, presieduto dal 1940 da Winston Churchill, governo inizialmente non favorevole alla costituzione di una unità militare esclusivamente ebraica. Fu ufficialmente chiamata Jewish Infantry Brigade Group.
La Brigata sionista non comprendeva ebrei italiani, essendosi costituita nella Palestina del mandato britannico. Ne facevano parte ebrei provenienti dalla Palestina storica che sarebbe poi diventata l’attuale Israele e di ebrei  provenienti da altri paesi del Commonwealth britannico, Canada, Australia, Sud Africa e di ebrei di origine polacca e russa. 
Mi intrometto e spiego. Faccio notare, anche, che è l'unica unità, delle tante dell'armata alleata, che partecipa alla sfilata.
Restano interdette, ma hanno una risposta di riserva: Comunque, se hanno sempre partecipato alla manifestazione, hanno diritto di venirci ancora.
Le disilludo, la Brigata Ebraica partecipa alla manifestazione solo dal 2004, data in cui si suppone che la maggior parte dei suoi componenti fosse ormai estinta. Le invito a riflettere sulle probabili ragioni politiche di questa scelta estemporanea. 
Ma invano, il circuito mentale Auschwitz/Ebrei esclude quello Palestina/Israele.
Ma sulle ragioni politiche lascio la parola all'Associazione amici d'Israele:
Il 25 aprile 2004 è una giornata che noi soci ADI stenteremo a dimenticare. Da anni eravamo stanchi di partecipare (come singoli individui) ai festeggiamenti della Liberazione circondati da bandiere palestinesi. Due anni fa poi, il nostro Segretario Generale Davide Romano lanciò l'idea, subito accolta, di partecipare come ADI alla manifestazione del 25 aprile sotto le insegne della Brigata Ebraica.
Solo l'anno scorso però riuscimmo ad avere i fondi per comprare uno striscione degno di tale nome; ed i primi risultati di visibilità, oltre che di dibattito storico, si iniziarono ad intravedere.

Per noi Amici d'Israele era importante qualificarci in maniera diversa: in primo luogo per ricordare gli eroi della Brigata Ebraica ma anche, ed è inutile nasconderlo, per non farci annoverare tra la massa dei manifestanti antiamericani o antisraeliani (o filoarafat, e quindi contro una democrazia palestinese)... Il successo della manifestazione, per il quale dobbiamo ringraziare tutti i partecipanti, è stato però più rilevante dal punto di vista culturale che dal lato delle presenze...Dal lato culturale infatti, siamo riusciti come ADI - in soli 2 anni - ad imporre all'attenzione dei mass-media e del dibattito culturale la questione della Brigata Ebraica. Non solo: se vi soffermate sulla scritta riportata sullo striscione potrete notare la scritta: "Brigata Ebraica. Anche loro, 5.000 sionisti, liberarono l'Italia".
L'utilizzo del termine "sionisti" è stato scelto con cura. Con tale messaggio infatti, abbiamo già voluto introdurre la prossima battaglia culturale: quella dello "sdoganamento" del sionismo. 


lunedì 13 aprile 2015

peggio di un crimine, è un errore

peggio di un crimine, è un errore
Citiamo da Charles Maurice de Talleyrand-Périgord, per commentare questo manifesto:



In questo manifesto vediamo concentrati tutti gli errori che derivano da una non corretta concezione di classe (Toni Negri et altri).
Parafrasando la nota poesia del pastore Martin Niemöller (erroneamente attribuita a Brecht), si fa un elenco di supposte soggettività resistenti.
Si suppone, quindi, che la somma di differenti categorie in oggettiva contraddizione con l'esistente possa diventare l'agente rivoluzionario che sopprime lo stato di cose presenti.
Le cose, e lo si sa bene, nella realtà non vanno così.
Infatti, quando si va a prendere i migranti, i Rom non ci sono e se si va a prendere i Rom non ci sono i migranti, quando poi si va a prendere queer, gay e lesbiche, non ci sono né i Rom, né i migranti e così via.
Insomma, quel noi di cui si parla non rappresenta la somma di tutti gli altri menzionati (Rom, migranti, gay, autoassegnatari, antifascisti) perché queste categorie non sono solo in contraddizione con gli attuali assetti di potere, ma anche tra di loro.
Quel noi, dunque, è lontano dall'identificarsi con tutti quelli che vengono menzionati e ancor più lontano dal potersi identificare, come si pretende nel finale, nell'intera umanità. 
Già, perché alla fine si riesce a dare un nome al soggetto rivoluzionario che addirittura si identificherebbe con l'umanità.
Eccoci ripiombati in pieno delirio utopistico, al socialismo di Saint-Simon, Owen e Fourier e  all'anarchismo. Siamo alla metà dell'800, o forse più indietro, al cristianesimo delle origini.
Se, infatti, il destinatario del messaggio rivoluzionario è l'umanità in genere, quello che si spera è che le idee buone si impongano su quelle cattive.
Ma la storia si incarica di avvertirci che le cose non funzionano così e che anche se una buona idea, come il cristianesimo, riesce ad imporsi e a divenire patrimonio comune di gran parte dell'umanità, poi la pace e la giustizia non arrivano lo stesso.
Insomma, la lotta non è, come nelle favole e nei film americani, tra buoni e cattivi, ma tra interessi inconciliabili.
Marx ci ha erudito da ormai molto tempo sul fatto che tali interessi contrapposti determinano la lotta incessante delle classi.
La lotta rivoluzionaria, insomma, non è battaglia di idee, o non è solo quello, è soprattutto lotta di classe.
L'elemento centrale e determinante di tale lotta, per l'appunto la classe, è il grande assente di questo manifesto che denuncia così i suoi tratti di volontarismo piccolo-borghese dietro al quale si nasconde spesso, talvolta inconscia, una presunzione di superiorità antropologica che non può avere nessun aspetto progressista.