Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani (Antonio Gramsci)

giovedì 9 febbraio 2012

la fucilazione dei Romanov

Quando si affronta un problema in termini astratti può capitare che si tenda a giudicarlo sulla base di valori assoluti, inesistenti nella realtà, dandone una lettura idealisticamente ingannevole.
A chi non è successo, nel riflettere sulla fucilazione dei piccoli Romanov, di utilizzare le categorie di infanzia e relativa innocenza, per condannarla come un crimine?
In realtà i rampolli dello zar erano gli eredi di un autocrate che quotidianamente condannava a morte, per fame, migliaia di piccoli russi.
Come si sa, le leggi che regolano le successioni dispongono che l'eredità, trasmissibile anche ai minori, sia comprensiva di crediti e debiti.
Nel giugno del 1918, a Ekaterimburg, questa legge, una legge che non avevano voluto i bolscevichi, fu applicata correttamente.
Nessun rimpianto, dunque, anzi occorre cominciare a pensare se non occorrerà ricorrere nuovamente a questo drastico provvedimento.
Da ormai troppo tempo, ogni giorno che il buon dio manda in terra è segnato da una strage di bambini del sud del mondo, che pagano il tributo imposto ai loro padri dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Banca Mondiale, tributi che vengono ora estesi all'Europa.
Di questo orribile genocidio si avvantaggiano poche migliaia di miliardari, che hanno accumulato, nei loro conti bancari, somme spropositate di denaro virtuale,che ipotecheranno la vita e il benessere dei comuni mortali per molte generazioni a venire.
Nei confronti di questi criminali la soluzione sarà abbastanza semplice (e in parte, vi provvederanno da soli): trasformare tutto il denaro in carta straccia.
L'evaporazione del denaro coinciderà con il loro annientamento sociale e ben pochi di loro sopravviveranno fisicamente, adattandosi alla mutata situazione.
Diversa la situazione dei loro domestici che, a fronte di un'accumulazione di denaro relativamente modesta, hanno messo in atto una precisa strategia di occupazione della sfera del sapere.
Tecnici loro e tecnici i loro figli, si passano allegramente cattedre universitarie e ruoli dirigenti di padre (madre) in figlio (figlia).
Fingono di non sapere che le carriere sfolgoranti dei loro figli dipendano dagli scambi incrociati di favori dei loro ristretti milieu, e si ostinano a pensare che i loro figli siano davvero bravini, e persino se lo raccontano - babbi orgogliosi e mamme trepidanti - tra loro.
Si consolano forse del fatto che il loro concorso cromosomico abbia, in genere, modesti risultati estetici, vagheggiando mirabili trasmissioni sul piano cognitivo.
Sulla potenza dei cromosomi dei dottori, rimandiamo a un libro vecchio, ma ancora assolutamente attuale, Lettere a una professoressa.
Da parte nostra ci riserviamo di risolvere la questione, quando verrà il momento, in maniera esaustiva. 
Ma non temano, per quanto i loro potenti cromosomi possano essere ereditati anche dai nipotini, nessun eccidio di Ekaterimburg si ripeterà: li daremo in adozione agli zingari.









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